martedì 24 ottobre 2017

CAPITANI ROSANERO: MAURO DI CICCO


Ore 15,27: stento a districarmi nel traffico “vorticoso e tentacolare” di Palermo centro quando sento squillare il mio cellulare. Lo so: quando si guida non ci si deve distrarre ma tanto io sono in fila e quindi rispondo: <<Ciao, sono Mauro Di Cicco!!>> quasi mi prende un colpo ed ho giusto la lucidità di abbassare la radio e di biascicare: <<Chi seiiii?>> ma ho capito benissimo. Rintracciare Mauro non è stato semplicissimo perché Di Cicco non è un “habitue” di Facebook e non vi nascondo che senza un gancio essenziale ed esperto come lo storico cronista ed amico Gaetano Perricone (che ringrazio affettuosamente) probabilmente non sarei riuscito a trovarlo. Vi giuro: ascoltare Mauro Di Cicco, il racconto della propria esperienza calcistica a Palermo, sentirlo parlare del Palermo, di Palermo e dei palermitani ha rappresentato per chi scrive un’emozione davvero così forte da provocargli più volte la pelle d’oca. Il capitano della puntata di oggi è nato a San Vincenzo Valle Roveto, in provincia di L’Aquila il 1° aprile del 1952.
Di Cicco giunse a Palermo a circa 24 anni, nel 1976 e vi rimase fino al 1984: 8 anni conditi da ben 248 presenze che lo collocano al 5° posto assoluto tra i giocatori più presenti nella storia del Palermo Calcio ed al 1° posto assoluto tra i più presenti nel Palermo in serie B.
Mauro sfiorò anche la vittoria della Coppa Italia maggiore avendo giocato la seconda delle tre finali maledette, quella di Napoli, il 20 giugno del 1979, poi persa contro la Juventus per 2-1.
Nel 1984 passò al Pescara dove restò per altre 2 stagioni prima di appendere le fatidiche scarpette al chiodo ed iniziare la carriera di allenatore che lo vide tornare in Rosanero come “mister” della Primavera prima (stagione 2000/01) e come vice di Bortolo Mutti, in prima squadra, poi (stagione 2001/02).
Dopodichè una lunga parentesi sempre come secondo di Mutti con cui gira l’Italia da sud a nord (Reggina, Messina, Modena, Salernitana, Atalanta e Bari) per riapprodare, nuovamente insieme, sulla Conca d’Oro nel 2011/12.
<<In realtà – mi sottolinea Di Cicco – non sono mai andato via del tutto da Palermo perché Palermo è dentro di me. Lì ho vissuto 8 anni splendidi da calciatore ma quando smisi di giocare vi tornai perché iniziai ad allenare a Mazara ma anche perché non posso star via da Palermo per troppo tempo: ogni tanto scendo per ritrovarmi con gli amici di una vita, per lavoro o anche solo per respirare un po’ d’aria vostra, per il mare, stupendo, per il sole e poi ritorno su perché ormai vivo a Ferrara, una cittadina molto più a dimensione d’uomo, con caratteristiche sensibilmente diverse da Palermo>>. Con Di Cicco ci addentriamo quasi per caso in quelle che sono le problematiche tipiche della nostra città e noto subito in lui una immensa amarezza, ma anche una caratteristica che a volte fa difetto a noi palermitani: la grinta, la speranza, la voglia di pretendere ciò che ci spetta: il diritto d’essere cittadini normali e non di serie B. <<Devo dire che mi dispiace profondamente sentire da lontano che la situazione sociale e lavorativa a Palermo non solo non è cambiata ma forse è addirittura peggiorata negli ultimi anni. Sento che i ragazzi, che vogliono costruirsi un futuro, che ambiscono ad una realizzazione professionale, sono costretti ad andare a studiare e poi a lavorare fuori e ciò non fa bene a Palermo; non è giusto che i palermitani non possano coltivare la possibilità di vivere e lavorare nella propria terra. Palermo ha tutto per poter vivere di luce propria; a Palermo si potrebbe vivere di turismo e lavorare tutti quanti proprio in questo settore ma non si fa nulla per cambiare le cose>>. L’amarezza di Mauro è tipica di chi sente bruciare dentro la voglia di vedere la propria città, natìa o d’adozione ch’essa sia, lassù, in cima ad un’ipotetica scala di valori riconosciuti, di infrastrutture ben funzionanti, di politica responsabile. Ma torniamo al calcio perché Di Cicco ha tanto da raccontarci della sua lunghissima parentesi rosanero: <<A Palermo abbiamo avuto sempre delle ottime squadre in quegli anni lì e spesso ci siamo ritrovati a lottare a lungo per la promozione salvo poi vederla svanire per vari motivi. Sono stati anni indimenticabili sotto la presidenza di quel grande uomo che era Renzo Barbera: più che un Presidente, un vero papà per tutti noi. Veniva al campo per spronarci, ci coccolava, ci consigliava… Poi Barbera lasciò e vivemmo una fase di transizione sotto la guida di Filippo Cammarata, anche lui una degnissima persona che “ci traghettò” proprio dal Presidentissimo a Gambino e poi fu la volta di Parisi. Erano tempi in cui giravano pochi soldi perché quello era un calcio molto più povero rispetto al calcio d’oggi: spesso ci ritrovavamo ad “avanzare” cinque o sei stipendi ma ti assicuro che non ci pensavamo più di tanto. La nostra testa non era al denaro, non all’ambizione ma alla maglia ed ai tifosi. Volevamo solo veder gioire i nostri tifosi. Li amavamo e proprio in quegli anni, a cavallo tra i settanta e gli ottanta, vennero creati tantissimi club organizzati di tifosi e per inaugurarli venivamo invitati proprio noi giocatori. Mi ritrovavo in quasi tutti i quartieri di Palermo o in provincia ed ogni volta era un bagno di folla, di affetto; addirittura – continua Di Cicco ridendo di cuore - una volta mi mandarono a Ficuzza dove andai ad inaugurare un club che contava 4 persone!!>>. Il riferimento ai tifosi è una costante nelle parole di Di Cicco e questo la dice lunga sulle differenze di valori tra la stragrande maggioranza dei giocatori odierni e quelli di allora: <<I nostri tifosi erano molto esigenti e durante le partite spesso ci apostrofavano, come quando mi ritrovai a battere un fallo laterale sotto la gradinata e mi sentii urlare da un tifoso “Di Cicco!!! Si cchiù curnutu r’un panàru ‘i babbalùci!!” ma lo facevano per amore perché poi, dopo la partita, ci abbracciavano. Quelli erano tifosi che per venire allo stadio non mangiavano. Se avevano cinquemila lire preferivano comprarci il biglietto ed entrare, piuttosto che un panino. Molti padri portavano i loro figli, bambini o ragazzini, e dividevano proprio con loro il classico panino pur di poter godersi insieme la partita del Palermo. Erano altri tempi!>>. Chiedo a Mauro un aneddoto che possa dar l’idea di ciò che rappresentò per lui l’esperienza palermitana: <<Voglio raccontarti un episodio che in realtà è avvenuto solo poche settimane fa, in occasione di Palermo-Perugia, ma che può servire a far comprendere quali fossero i sentimenti che vivevamo allora. Finita la partita, che il Palermo ha vinto proprio allo scadere contro gli umbri, mi accingevo a lasciare la tribuna quando mi sento chiamare ad alta voce e mi vedo abbracciare con foga da un uomo che lì per lì non avevo riconosciuto: era proprio Filippo Cammarata, il Presidente di cui parlavo prima, che ci aveva guidato nel passaggio di proprietà tra Barbera e Gambino. Capisci? Non ero stato io ad abbracciarlo ed a gridare il suo nome ma viceversa. Non so se con i presidenti di oggi una cosa del genere potrebbe mai succedere!>>. Come sempre domando al nostro capitano di turno con quale ex compagno rosanero abbia mantenuto nel tempo un rapporto di vera amicizia: <<Mah… con tantissimi: Gasperini, Silipo, Lopez, Montesano, Caneo, Arcoleo, Borsellino, Vailati… con il grande Vito Chimenti che io prendevo bonariamente in giro per la sua struttura fisica piuttosto tracagnotta ma nominandone alcuni corro il rischio di far torto ad altri perché ho sempre avuto ottimi rapporti con tutti i miei compagni>>. Ed oggi, il nostro Mauro cosa fa? La domanda nasce spontanea ma, sapendo dell’ormai storico binomio con Lino Mutti, ci immaginiamo la risposta: <<Al momento siamo in attesa di una chiamata: se arriverà bene altrimenti continueremo a guardare le partite ed a goderci maggior tempo libero>>. L’intervista si conclude con l’ormai usuale consiglio ai tifosi del Palermo: << Oggi mi fa male andare allo stadio e vederlo vuoto, vedere la Curva Nord, la nostra curva, semivuota e in silenzio. Tutto questo deve finire!!>> E’ a questo punto che Mauro Di Cicco riveste i panni del capitano e tuona: <<Questa divisione tra i tifosi… La latitanza dagli spalti per punire Zamparini… Basta! Il Palermo è dei tifosi e l’amore per la maglia deve andare ben oltre ogni altro aspetto. Lo so: Zamparini è un presidente con cui è spesso difficile convivere. Io stesso quando allenavo giù con Mutti ho avuto degli scontri verbali con lui, perché non accettavo la sua gestione patriarcale. So bene che il tifoso è stanco, non si diverte più ed aspetta la cessione societaria come una manna dal cielo ma bisogna tifare sempre e comunque perché è necessario riconquistare la serie A che è la categoria più consona per una piazza come Palermo>>. L’amabile dialogo con Di Cicco finisce qui ma non prima di un saluto di commiato a tutti i tifosi di “Palermo in Rosa&Nero”: <<Abbracciameli tanto ed uno per uno, se puoi…>> ma sono più che certo che prima, ognuno di loro abbraccerebbe te, capitan Di Cicco: capitano-modello dentro e fuori dal campo.
Ivan Trigona.

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