sabato 23 dicembre 2017

PASQUALE BORSELLINO E QUEL RAGAZZO CHE SOGNAVA


Qualcosa mi unisce a Pasquale Borsellino… qualcosa di forte, di così forte che credo nessuno potrà mai spezzare. Pur sapendo quanto gli voglia bene penso che questa cosa non la sappia nemmeno lui. E’ storia vecchia… risale al 1990/91… forse anche a parte della stagione successiva ma, comunque, è storia davvero vecchia… vecchia ormai 26 o 27 anni. Pasquale era stato un gran giocatore di serie B che, però, avrebbe potuto giocare tranquillamente anche in serie A se solo la sorte fosse stata un pizzico più benevola con lui. Fu una bandiera del Palermo, uno di quelli che in campo si faceva sentire, uno che usciva con la maglietta pesante il triplo per il tanto sudore versato. Finito di giocare aveva deciso di provare la carriera da allenatore. Io ero solo un ragazzo, un ragazzo alto alto e magro magro che amava il calcio praticamente dalla nascita e che, fin da bambino, si era messo in testa di diventare calciatore. Lavoravo per quell’obiettivo… faticavo e facevo tanti sacrifici. Il mio sogno, però, non era la gloria, non era la fama, non erano le donne facili, non era l’ambizione di avere ai tuoi piedi tanti tifosi che ti idolatrano. Avevo un solo sogno: poter guadagnare abbastanza da regalare alla mia famiglia ciò che non aveva potuto avere con il solo lavoro di papà: serenità economica… una bella casa di proprietà… qualche capriccio mai passato. Erano altri tempi: non c’era lo scooter… non c’erano abbastanza soldi per il motorino e ci si spostava in autobus o a piedi… non c’erano telefonini, non si facevano capricci… le scarpe per allenarti erano sempre quelle, sempre le stesse… consumate fino alla suola… indurite e anche un po’ spaccate ma sempre quelle fino alla loro “dipartita”. Quelle scarpe erano solo, rigorosamente, nere… non esistevano fascette per i capelli… niente orecchini… nessun tatuaggio. Il campo per allenarti era quasi sempre una gigante grattugia in terra e pietruzze ma ti sentivi già un privilegiato a poterci giocare senza pagare nulla. Le giornate invernali erano fatte di scuola, di allenamenti, di casa, studio e poi di quel meritato riposo notturno che ti permetteva di ricaricare le pile per ricominciare, l’indomani, con lo stesso entusiasmo. La vita pareva ugualmente sempre e solo Rosa perchè il sogno era quello: la maglia Rosanero. Crescevo giocando e giocavo crescendo finchè mi ritrovai a 17 anni, dopo aver vinto un campionato di allievi regionali con una squadra di quartiere, a poter sostenere il classico provino per la squadra dei miei sogni: il Palermo. Arrivai al campo ed all’orario previsto ero già pronto con le mie vecchie scarpe nere consumate, ai piedi. Lui era lì: Pasquale Borsellino si distingueva subito perché pareva ancora un giocatore in attività nonostante avesse smesso da qualche anno. Mi presentai, lui scrisse il mio nome e mi chiese in che ruolo giocassi. Iniziai la mia partita senza acuti particolari ma senza sfigurare. Al termine me ne tornai a casa convinto di avere fallito. Forse passò un mese, forse due… adesso non ricordo benissimo ma ricordo perfettamente quando ritornai a casa dal mio solito pomeriggio estivo di interminabili partite con i miei amici del condominio in cui abitavo. Mia mamma aveva ricevuto una telefonata ed aveva preso nota. “Palermo Calcio, campo del Malvagno, ore 10,00 del mattino”. Non riuscivo a crederci: ero stato convocato!! Non lo nascondo: la notte prima della convocazione non chiusi occhio. Mi presentai in quel campo immerso nel parco della Favorita accompagnato da un caro amico d’infanzia. Pasquale ci preannunciò una partitella: eravamo in tanti… tantissimi. Facemmo un po’ di riscaldamento ed iniziammo. Avevo paura di sbagliare… Giocavo da terzino a sinistra ma non affondavo per paura di perdere l’avversario e far brutta figura ma di lì a breve accadde un fatto che avrebbe potuto cambiare tutto… se solo fossi stato un po’ più fortunato. Si alzò un pallone a campanile, il difensore avversario, molto più robusto di me si preparò a colpire di testa… io partii da più lontano e con enorme grinta saltai spazzando pallone ed avversario pur senza commettere fallo. Pasquale fermò il gioco. Credetti che volesse rimproverarmi per l’eccessiva foga ed invece si avvicinò al difensore che era volato via e che faceva già parte della squadra Berretti cazziandolo “della bella” e portandomi ad esempio. In quel momento misi le ali ai piedi ed iniziai a volare. Mister Borsellino mi diede l’opportunità di allenarmi per un’intera settimana con la formazione Berretti per poter dimostrare quanto valessi… poi avrebbe deciso. Mi allenai bene, ogni giorno, con il mio solito piglio da giocatore professionista pur non avendone le qualità tecniche. Pasquale, però, questo lo aveva capito e mi volle tenere. Fui confermato. Il mio sogno si stava lentamente avverando anche se nulla era ancora stato fatto. Da lì in avanti solo sogni su sogni che si andavano avverando… esperienze magnifiche… materiali d’allenamento mai visti dal vivo… staff medici completi… preparatori… magazzinieri… trasferte in Calabria, in Campania, in Puglia… metodologie d’allenamento per me del tutto nuove. Ogni allenamento una scoperta… ogni partita una conquista. Pasquale credeva nella mia forza di volontà ed io credevo in ciò che lui mi insegnava. A fine campionato ricordo che sarebbe stato lui a decidere se tenermi ancora per la formazione Primavera oppure no. Ricordo che non riuscivo a “legare” neppure 100 grammi di muscoli ed allora lui, pazientemente, dopo ogni allenamento, si fermava con me al campo per sottopormi ad allenamenti supplementari. Addominali, flessioni, piegamenti sulle gambe… Si sedeva sulle mie spalle e mi faceva ripetere le flessioni sulle gambe per potenziarmi… mi “passeggiava” sugli addominali mentre li contraevo… poi divideva il campo di calcio a 5 del Malvagno assegnando una metà campo a me ed una a se stesso. Stabiliva la regola: chi arrivava per primo a 10 avrebbe vinto. Ognuno di noi poteva provare a far gol nella porta opposta tirando dalla propria area di rigore. L’altro che non tirava poteva evitare il gol non utilizzando le mani, quindi con le gambe, con il tronco o con la testa. Un gioco divertentissimo con lui che si trasformava in un ragazzino alle prime armi che voleva vincere a tutti i costi. Mi insegnò a tirare… mi insegnò a stoppare… mi insegnò il drop… Con lui miglioravo a vista d’occhio. Percepivo la sua fiducia e mi sentivo importante ai suoi occhi. La stagione finì e ci salutammo dandoci appuntamento al successivo mese di agosto. Prima della pausa estiva il sogno dell’amichevole contro l’Under 21… le ultime amichevoli della stagione da aggregato alla Primavera di Sergio Eberini, un allenamento con la prima squadra, gomito a gomito, in campo con i miei beniamini, con i giocatori della mia squadra del cuore. Pasquale fu di parola: mi fece confermare anche per la Primavera della stagione 91/92. Ma la storia non è di quelle a lieto fine. Borsellino fu presto promosso come vice di Di Marzio, in prima squadra, ed io mi ritrovai ad essere allenato da un tizio che preferisco non ricordare neppure ma che riuscì a distruggere la mia passione per il calcio. La favola finì lì ma non dimenticai e non dimenticherò mai ciò che lui mi consentì di vivere; non dimenticherò mai il sogno di quel periodo meraviglioso e non dimenticherò mai la lezione che Pasquale Borsellino mi diede per la vita: i propri limiti non sono insormontabili ma con forza di volontà, fiducia e caparbietà si possono oltrepassare. Ho sempre pensato che se fossi rimasto con Pasquale Borsellino forse sarei davvero riuscito a coronare il mio sogno ed a rendere felici i miei genitori prima che me stesso; forse lui sarebbe riuscito a rendermi davvero un calciatore ma la vita è questa e recriminare non serve mai a nulla. E’ andata così ma ogni volta che rivedo lui, Pasquale Borsellino, torno a sentire il profumo dell’erba della Favorita, torno per un attimo ai miei 18 anni e non posso fare a meno di abbracciarlo forte forte! 

Ivan Trigona


 

giovedì 21 dicembre 2017

CAPITANI ROSANERO: BEPPE ANTONACCIO



Per entrare nel cuore di un tifoso non bisogna necessariamente essere un campione di livello mondiale e neppure un ottimo giocatore di serie A: per entrare dentro al cuore di un tifoso e trovarvi rifugio per sempre a volte basta essere te stesso, basta far vedere chi sei… che sei un uomo… che ci metti impegno, passione… basta uscire dal campo con la maglia che ti pesa tre chili per il sudore che vi hai lasciato dentro… anche se sei un calciatore di serie C! A Palermo non si ricordano, infatti, solo campioni celebrati o decorati. A Palermo non si ricordano solo i Miccoli, i Corini, i Pastore, i Vernazza…  A Palermo si ricordano anche giocatori come Vailati, come Biava, come De Sensi…  per quello che hanno saputo donare in termini di sacrificio, di attaccamento alla maglia pur se in possesso di una tecnica non proprio sopraffina… E a Palermo si ricordano quelli come Beppe Antonaccio, capitano di un Palermo che forse non contava granchè in termini di categoria e di prestigio ma che entusiasmava i propri tifosi al punto da portarli a riempire lo stadio in ogni ordine di posto nonostante militasse in serie C1. Giuseppe Antonaccio (Beppe, per tutti) nasce in Germania, a Norimberga l’8 di aprile del 1972 ma è in Toscana, a Firenze per la precisione, che inizia a giocare a 14 anni, per ritrovarsi, a 16, già aggregato alla prima squadra. La carriera di Beppe conoscerà, però, quasi esclusivamente le serie C1 e C2 mentre annovererà solo pochi acuti in serie B con 55 presenze e 3 gol realizzati. L’esperienza palermitana di Antonaccio ci racconta di 3 anni in maglia rosanero (dal 1997 al 2000); 3 anni molto tormentati per via di 2 bruttissimi infortuni (rottura del crociato in entrambi i casi) che ne pregiudicarono sia la prima che la terza ed ultima stagione. Cinquantatre presenze e 4 gol (tutti realizzati nella sua seconda stagione a Palermo) che bastarono al buon Beppe per far capire a tutti di che pasta fosse fatto. Antonaccio era proprio uno di quei calciatori seri, generosi, uno di quelli che all’interno di uno spogliatoio rappresentano un punto di riferimento; Antonaccio era uno di quelli che sputava l’anima in campo e che fuori da questo cercava di passare del tutto inosservato e per questo divenne ben presto un beniamino degli esigenti ultras rosanero, anche se, per sfortuna, non giocò tantissimo… anche se quel Palermo non arrivò mai in serie B… anche se quello era un Palermo “povero” che vagava per i campi di Acireale, Battipaglia, Torre del Greco e di Gualdo Tadino. <<Palermo, per me, è stata una tappa fondamentale, una vera svolta perché lì ebbi l’occasione di giocare un calcio che contava, non tanto per la categoria di appartenenza (eravamo in serie C) ma perché giocavo in una città per cui la “C” era finta, per cui le esigenze erano ben altre>>. Inizia come tutte le altre anche l’intervista a Beppe Antonaccio. La sua dichiarazione d’amore al Palermo, a Palermo, prende la piega del racconto di un periodo  fantastico, indimenticabile. <<Stare a Palermo era una meraviglia – prosegue Antonaccio – e io ripeto sempre che l’esperienza a Palermo dovrebbero provarla tutti i giocatori>>. Le parole del nostro protagonista suonano come un attestato di grande stima verso l’intera piazza palermitana. <<Del mio periodo al Palermo ricordo con estremo piacere soprattutto il secondo anno. Dopo il primo crociato tornai alla prima stagione di Morgia in panchina e ne valse la pena! Morgia era un allenatore speciale: è difficile da capire, forse, ma venivamo da periodi bui a livello di risultati e lui si rivelò una persona vera, un allenatore che aveva un modo di interpretare il suo ruolo e di approcciarsi ai suoi giocatori totalmente differente dagli altri e, secondo me, assolutamente vincente. Una grandissima persona… Ci faceva star bene e tutto ciò ci portò ad ottenere dei  grandi risultati. Si respirava un’aria nuova, un nuovo modo di avvicinarci agli allenamenti. Quella, a mio parere, era una buona squadra di serie C ma ottenne risultati strepitosi, superiori ad ogni previsione. Gareggiare fino all’ultima giornata per salire in serie B per noi che tutto sommato eravamo dei perfetti sconosciuti fu entusiasmante. Fummo protagonisti di una cavalcata meravigliosa! Eravamo molto uniti, un grande gruppo e ci volevamo davvero molto bene, ben al di là del rispetto tra compagni. Figurati che eravamo quasi felici di partire per i ritiri perché insieme ci divertivamo un mondo!!>>. Sentir parlare Antonaccio in questi termini ci fa capire l’essenza di questo ragazzone che pur badando ai risultati non disdegnava una particolare attenzione ai rapporti umani. Il nostro capitano continua a spron battuto: <<Tutto questo era merito di Morgia, dei suoi collaboratori ed anche del presidente Ferrara che, comunque, pur non godendo di particolari risorse economiche (e questa non era una colpa), è stata una persona che io ricordo con grande piacere perché nutriva in sé grandi risorse umane: era un personaggio spettacolare che con noi giocatori si è sempre comportato da padre.>> Il nome di Giovanni Ferrara torna spesso fuori come un disco rotto nei ricordi di tutti i capitani che hanno avuto rapporti con lui: Biffi, Modica, Favo… tutti hanno speso almeno qualche parola per l’ex imprenditore di Lercara da sempre tacciato dai tifosi di non esser mai stato un presidente dalle grandi disponibilità. <<Purtroppo Palermo è una piazza molto esigente – ci dice Antonaccio – i tifosi sono esigenti, la stampa è esigente. Ferrara non era un presidente dai grandi mezzi ma era una persona molto onesta e l’onestà è una grande virtù in mezzo a tanti venditori di fumo. Per noi era un padre e con lui molti di noi si confidavano. Avevamo un rapporto che oggi, a distanza di 20 anni a raccontarlo viene quasi da ridere se si pensa ai rapporti che esistono tra giocatori e presidenti: c’è molto distacco e spesso sembra di rivedere il tipico rapporto tra l’imprenditore ed il suo operaio. Per noi era diverso… forse perché noi eravamo dei “poveracci” che sentivano la grande responsabilità di una maglia come quella rosanero, una maglia che sentivamo cucita addosso>>. Ferrara, uomo onesto e dai grandi valori: <<Si, basta ricordare ciò che successe al Parma per capire che Giovanni Ferrara nel momento in cui ha lasciato Palermo lo ha fatto affidandolo a mani sicure: anche grazie a lui, per 10 anni e più abbiamo potuto ammirare un grande Palermo, un Palermo che ci ha dato emozioni enormi, grandi risultati in campionato ed in Europa League, un Palermo che ha annoverato fior di giocatori!>>. Chiedo a Beppe come mai dopo il passaggio da Ferrara a Sensi lui dovette far le valigie: <<In realtà ero partito in ritiro con la nuova società ma avevo già dato la mia parola a Morgia che al Palermo venne sostituito da Sonzogni e decisi di seguirlo al Savoia>>. Quale la gioia maggiore e quale la delusione più grande per Beppe Antonaccio? Ci risponde così: <<La gioia più grande è stata proprio la fascia di capitano. Fare il capitano al Palermo era un bel sentire!! Entrare nello stadio di Palermo è una sensazione indescrivibile. Quando lasci il cuore a Palermo vieni ricordato per aver lasciato un’ impronta e non per i risultati sportivi. Vieni apprezzato come persona e questo è il riconoscimento più grande: ai tifosi non entra nulla in tasca quando si ricordano di Antonaccio e quando ciò si verifica, ripeto, è proprio un bel sentire!! La mia delusione più grande a Palermo non fu tanto la retrocessione del primo anno, poiché mi ero rotto il crociato e quindi non la vissi direttamente ma solo da lontano tra ospedale e centro di riabilitazione, quanto la mancata promozione in B della seconda stagione. Vincemmo l’ultima partita in casa credo contro il Crotone ma quella partita rappresentò un viaggio in paradiso e ritorno senza precedenti. In campo sentivamo notizie positive, poi negative… Speravamo nel miracolo fino all’ultimo minuto ma non accadde. Ciò che rimbalzava in campo era molto confuso: “Stanno perdendo… Stanno vincendo… Pareggiano…”. Immaginati uno stadio con 30.000 persone dentro, in cui ognuno dice la sua: arriva una voce e lo stadio esplode in un gran boato e allora pensi che ce l’hai fatta… poi confusione incredibile finchè non ti rendi conto  che, invece, è finita!! Ricordo che restammo negli spogliatoi, per 2 ore e mezza, seduti. Nessuno si muoveva,nessuno si era cambiato; non volava una mosca: un’atmosfera incredibile, che non dimenticherò mai in vita mia. Eravamo totalmente svuotati di ogni energia. Quello stato d’animo si vide anche nei play-off contro il Savoia. Non avevamo recuperato la nostra mentalità vincente; cercavamo solo di convincerci ma dentro si era spenta la lampadina. Palermo ti prosciuga: ci erano finite le energie mentali e non avercela fatta in quell’ultima giornata ci devastò. L’andata del play-off andò così e così ma al ritorno la partita fu caricata in maniera esasperata. Avevamo molte aspettative ma la verità fu che non la reggemmo mentalmente: giocare nel Savoia era diverso che giocare nel Palermo e reggere Palermo non è da tutti. Quell’anno lì abbiamo pagato questo aspetto anche se devo dire che la promozione l’avevamo mancata negli ultimi 5 incontri di campionato quando ottenemmo 4 pareggi ed una vittoria>>. Con quali compagni, Beppe, hai mantenuto determinati rapporti di amicizia? <<Ci vediamo e sentiamo spesso con Luca Puccinelli che fa il procuratore… con Fortini, con Picconi ci siamo visti un paio di volte… con Biffi ci siamo incontrati nel traffico di Milano e siamo rimasti un po’ a parlare…>>. Oggi Beppe Antonaccio riveste un ruolo molto prestigioso sempre nel mondo del calcio: <<Mi sono ritirato dal calcio giocato molto giovane, a 34 anni, perché dopo 2 crociati allenarmi era diventato un calvario e ho capito che era meglio lasciare stare e dedicarmi ad altro. Sono stato  7 anni alla Juve e da un anno e mezzo sono un osservatore in Colombia per il Manchester United. Il calcio colombiano mi ha sempre affascinato ed eccomi qui a svolgere questo lavoro che ritengo una gran bella esperienza. Di Palermo mi restano dentro tanti episodi, tanti ricordi: la villetta di Mondello che adoravo… quel chilogrammo di arance che mi fece trovare il fruttivendolo sulle scale con su la dedica “Grazie per il gol!”… le mie colazioni al Caflish… gli sfottò per strada dopo le sconfitte e i complimenti dopo ogni vittoria, quando ti sentivi davvero un campione del mondo!>>.  Questa è Palermo, caro Beppe, con i suoi pregi e i suoi difetti… con i propri limiti e le sue esaltazioni… Palermo è Rosa e Nero nel vero senso delle 2 parole! <<Auguro a Palermo di tornare presto laddove merita: in serie A. Per ottenere questo traguardo raccomando a tutti i tifosi di far sentire alla squadra il proprio sostegno. Dico loro di tornare allo stadio in massa perché i Presidenti passano, i giocatori passano ma la maglia, i colori, sono vostri!!>>. Firmato Beppe Antonaccio: capitano di serie C ma uomo di serie A rimasto per sempre impresso nei nostri cuori "RosaNero". 

Ivan Trigona.
 


domenica 10 dicembre 2017

CAPITANI ROSANERO: ROBERTO BIFFI



Vidi Roberto Biffi per la prima volta una mattina d’autunno del 1988 al campo “Vycpalek” di viale Galatea, a Mondello. Quella mattina decisi di marinare la scuola per andare ad ammirare da vicino i miei eroi, i giocatori della squadra che mi faceva battere il cuore forte forte e che mi spingeva a rischiare d’esser visto e punito severamente dai miei genitori che abitavano proprio lì vicino al campo. Era il Palermo di Rumignani, un Palermo di serie C1, un Palermo povero e senza casa visto che lo stadio della Favorita era in rifacimento in vista dei mondiali di calcio del 1990. Si allenava proprio nello sterrato di viale Galatea e giocava le partite casalinghe al Provinciale di Trapani. Biffi era un ragazzone di 22 anni, imponente e potente. Rimasi impressionato da quel nuovo acquisto proprio quando arrivò il momento dei tiri in porta. Biffi caricò una bordata che lasciò immobile il giovane Pino Taglialatela e Mimmo Di Carlo urlò: <<Ragazzi!! Io avrei paura!!>>. Da allora fu un crescendo rosanero. Roberto restò a Palermo ben 11 anni divenendo il giocatore con più presenze in assoluto nella storia del Palermo calcio: 319 con 7 gol al suo attivo. Lo ascolto al telefono e gli confesso che mi sento emozionato perché a lui è legata la mia adolescenza Rosanero, a quel “libero” tutto grinta e cuore, dai modi così decisi in campo da incutere rispetto in ogni attaccante gli si trovasse di fronte: <<In realtà – esordisce - era più la mia fisionomia così imponente che incuteva timore piuttosto che ciò che fossi davvero perché chi mi conosceva anche fuori dal campo sapeva benissimo che ero una persona semplicissima. Ma in campo chi non portava i miei stessi colori diventata un nemico da abbattere, sportivamente parlando, ad ogni costo . Le davo e le prendevo – racconta – ma un po’ più le davo, a dire la verità>> e giù una risata giovanile che sembra riportarlo indietro nel tempo. <<L’esperienza a Palermo è stata fantastica… spettacolare. Arrivai a 22 anni ed andai via a quasi 34: un terzo della mia vita trascorso giù, in una città che mi ha accolto, amato e che ho altrettanto amato in modo totale e senza condizioni nonostante all’inizio ne fossi stato un po’ intimorito perché ciò che arrivava sù di Palermo non era il massimo. Per ignoranza avevo paura a fare questa scelta ma Peccenini mi convinse dicendomi che si trattava solo di voci stupide e prive di fondamento. “Vai lì, fai ciò che devi fare e nessuno ti romperà le scatole” mi disse. Così feci e fu la scelta più importante di tutta la mia carriera>>. Sentir parlare Biffi di Palermo sembra come sentire un bambino all’inizio del nuovo anno scolastico quando racconta le vacanze appena vissute: entusiasmo, magia ma anche un pizzico di malinconia traspaiono dal suo racconto dettagliatissimo. Come già avvenuto con gli altri capitani chiedo a Roberto Biffi di ricordare una gioia ed una delusione vissute a Palermo con particolar trasporto: <<Ogni successo… ogni promozione… la Coppa Italia vinta… tutte gioie indimenticabili ma se devo ricordarne una in particolare ti dico Palermo-Lucchese, finale di Coppa Italia di C giocata il 30 maggio del 1990. Era la riapertura della Favorita: tutto sapeva di nuovo. Campo, spogliatoi, stadio… una sensazione indescrivibile con 40.000 tifosi sugli spalti felici e festanti. C’era aria di festa; la settimana successiva sarebbero iniziati i mondiali delle “notti magiche”. Giocammo e vincemmo sul campo ma alla luce del risultato d’andata andammo ai rigori e perdemmo, rinunciando alla Coppa. Il ricordo più brutto, invece, è legato alla mia ultima partita a Palermo. Spareggio “play-off” Palermo-Savoia del 06 giugno del 1999. Fui il secondo di 3 espulsi. Persi la “brocca” ma la nostra cavalcata si era interrotta molto prima. Avevamo disputato un girone d’andata superbo attestandoci tra primo e secondo posto in lotta con la Juve Stabia ma nel girone di ritorno ci venne “il braccino” ed inanellammo una serie di risultati che ci portarono a scaricarci lentamente fino alle ultime 5 partite al termine delle quali ottenemmo solo 4 pareggi ed una vittoria. Nel frattempo la Fermana, che avevamo battuto sia all’andata che al ritorno, aveva accelerato in modo impressionante recuperando e superandoci alla penultima giornata. Arrivammo a quello spareggio davvero spenti, affaticati, privi di forze fisiche e mentali, mentre il Savoia viaggiava sulle ali dell’entusiasmo visto che era appena stata ripescata come quinta (tant’è che alla fine venne promossa come seconda del girone dietro alla Fermana stessa) >>. L’epilogo di quella partita rappresentò la conferma dell’importanza dell’aspetto psicologico in una squadra e nello sport più in generale. Biffi narra quel momento con grande amarezza. I presenti allo stadio ricordano ancora la delusione ed il senso di impotenza dinnanzi ad una squadra che era ormai stata spremuta come un limone. Si verificarono incidenti allo stadio, lancio di oggetti e Biffi venne contestato all’uscita dal campo per l’espulsione subita. L’ultima a Palermo non fu come avrebbe dovuto essere. La storia d’amore tra Biffi e il Palermo avrebbe meritato un epilogo diverso ma a volte la sorte per un uomo diventa beffarda e la sorte aveva stabilito che doveva andar così. Ma a chi, in particolare, rimase più legato Roberto, relativamente alla sua parentesi in maglia rosa? <<Tra centinaia di compagni, allenatori, gente conosciuta ti dico che le persone che amai particolarmente furono 2: Renzo Barbera e il professore Totino Matracia. A Barbera mi legai frequentando il figlio Ferruccio (che oggi non è più tra noi) che ai tempi era anche un nostro dirigente. Spesso mi recavo anche a casa sua ed ebbi modo di intrattenermi svariate volte col Presidentissimo: una persona d’altri tempi. Un uomo perbene e dai grandissimi valori. Il professore Matracia era, invece, come un secondo papà: gentile nei modi, preparato, a volte così rispettoso da sembrare timido e timoroso. Lo ricordo quando durante il mio riscaldamento, che svolgevo all’interno dell’area che portava agli spogliatoi, si avvicinava e stava lì ad osservarmi. Mi chiedeva come andasse e capiva tutto. Era difficile strapparmi un sorriso in quei momenti pre-partita ma lui era uno dei pochi che ci riusciva. E’ stato un grandissimo esempio per me. Con suo figlio Roberto eravamo come fratelli. Ci frequentammo anche fuori dal campo. Mi sentivo uno di famiglia per loro>>. Barbera e il professore Matracia: due simboli, due figure di un Palermo che fù e che oggi non si avvicina neppure minimamente a quella società sicuramente più limitata economicamente ma molto più ricca di valori e di sentimenti. <<La loro morte, a distanza di 3 anni l’uno dall’altro, rappresentò per me un motivo di dolore molto forte: non li dimenticherò mai!>>. I ricordi di Biffi si spingono oltre e arrivano ai ritiri precampionato e a quelli invernali, sulle Madonie: <<Ci mandavano in ritiro ma quelli non erano ritiri bensì splendidi momenti che condividevamo con le nostre famiglie e grazie ai quali cementavamo il gruppo. Ci divertivamo un sacco: giocavamo a carte, facevamo scherzi, cantavamo, organizzavamo partitelle in palestra con le nostre mogli o con i figli più grandi, per chi li aveva. Ricordo un anno, c’era la neve alta, l’allenatore era Orazi. Stava molto attento al nostro peso e ogni giorno ci pesava ma io non avevo un buon rapporto con la bilancia. Una notte, insieme ad Incarbona, sabotammo la bilancia e l’indomani mattina Orazi non potè pesarci. Che ridere nel vedere il personale dell’albergo che diceva: “Eppure fino a ieri funzionava benissimo!”. Erano finti ritiri in realtà e credo che oggi tutto ciò sia impensabile>> sentenzia Biffi riferendosi alle tensioni estreme cui ormai il circo del calcio sottostà da anni. Oggi Biffi allena una squadra di Eccellenza vicino Sanremo. Ad inizio stagione era trapelata una recente voce che lo voleva tra i papabili per allenare la nostra Primavera ma la cosa non è andata in porto: <<Credo sia stata fatta la scelta più logica: dare l’opportunità a Scurto, che era l’allenatore degli allievi classificatisi al secondo posto dietro l’Inter, di continuare a seguire i suoi ragazzi visto che moltissimi di essi son passati proprio alla Primavera. Certo: se fosse servito avrei fatto un grosso sacrificio economico pur di avere l’onore di allenare la Primavera del Palermo ma la società ha fatto le sue scelte e va bene così>>. La chiosa finale del roccioso capitano è rivolta ai tifosi: <<Spero che la gente di Palermo possa ricordarmi come uno che non si è mai risparmiato. Ho commesso errori, ho fatto qualche colpo di testa ma il mio impegno non è mai mancato ed ho sempre dato tutto per la maglia del Palermo e sono fiero di averla indossata per 11 anni e di esserne stato a lungo anche il capitano. Era un Palermo più “povero” ma ci tengo a ricordarlo: Ferrara e Polizzi hanno sempre fatto il loro dovere ed anche qualcosa in più. Potevano ritardare di un paio di mesi a pagare gli stipendi ma hanno sempre pagato tutto e spesso qualcuno di noi veniva chiamato e premiato con un “surplus”. Il Palermo merita di tornare in A, laddove deve stare e per tornare in A c’è bisogno solo di coesione. Le contestazioni fanno male anche perché i giocatori non sono responsabili di questo stato di cose, soprattutto quelli nuovi che in quei momenti pensano: ”Ma che c’entro io?”. Chiedete un confronto civile e rispettoso con Zamparini che di sicuro non negherà di parlare del futuro, degli obiettivi, delle idee che intende portare avanti per il Palermo.Date tempo e lasciate lavorare tecnico, DS e giocatori: conosco Lupo ed è una persona molto competente. I risultati arriveranno. Capisco la delusione dei tifosi dopo la cocente retrocessione dello scorso anno, la voglia di veder valorizzati i talenti locali anziché le colonie di giocatori stranieri e sono certo che quest’anno ciò avverrà. Ti prego di salutarmi indistintamente tutti i tifosi del gruppo “PALERMO IN ROSA&NERO” >>. Qui termina la conversazione con Roberto Biffi, capitano di 319 battaglie che usciva dal campo con la maglia madida di sudore e sporca di terra e di fango. Sarebbe bello se Mister Tedino, soprattutto dopo qualche partita casalinga, laddove il Palermo ancora stenta parecchio, potesse far vedere ai propri ragazzi qualche filmato un po’ ingiallito di quelle partite per spiegare fattivamente il senso di appartenenza, per ricordare a tutti che giocare nel Palermo, al di là della categoria, può e deve essere per tutti motivo di orgoglio. Proprio come fu per il grande Roberto Biffi.

Ivan Trigona




mercoledì 6 dicembre 2017

DEDICATO ALLA MIA MAMMA

Scrivere è sempre stata la mia passione. Mi fa star bene... mi rilassa... mi riavvicina al mondo... scrivendo riesco a tirar fuori il vero Ivan. Anche adesso: scriverei... scriverei... scriverei fino a riempire facciate... schermate. Scriverei di getto... svuoterei tutto me stesso ma poi... penso: "Ma da un periodo come questo... cosa verrebbe fuori? Solo tanta ma tanta tristezza... dolore... magari un dolore edulcorato da qualche speranza, questo si! Ma chi mi autorizza a insinuare il germe della tristezza nella gente? In persone che pur essendomi amiche o parenti hanno già i propri pensieri, problemi... lottano tutti i giorni con altre situazioni o con altri motivi di preoccupazione?" Tutto ciò che per adesso ho in testa riguarda chi mi ha messo al mondo. È anche ovvio che sia così vista la situazione. Stasera pensavo una cosa buffa: ho sempre saputo che le persone dalle orecchie lunghe sono considerate longeve. Negli anni, nei decenni, capitava che mia madre, che stava male spesso con lo stomaco, dicesse: "Tanto... lo so quello che ho!!!" E io le rispondevo: "Mamma... ti conosco da 40 anni e da 39 ti sento dire che hai il tumore!!! Ma tu lo sai quante volte saresti dovuta morire in tutti questi anni? Almeno 10!!". Ci ridevamo un po' su e mi facevo forte perché, pensavo: "Tanto, una persona con le orecchie così lunghe non potrà morire mai!!!". Ovviamente racconto questo aneddoto per dissacrare un po' l'attuale momento di estrema sofferenza sia di mamma che nostro e forse anche perché un po' lo penso ancora: una persona con le orecchie così lunghe non potrà morire mai!!!❤❤❤