Blog personale... Spazio destinato alle idee, alle chicche, ai pensieri, alle impressioni di un uomo normale che crede che condividere sia sempre meglio che chiudersi in se stessi.
domenica 10 dicembre 2017
CAPITANI ROSANERO: ROBERTO BIFFI
Vidi Roberto Biffi per la prima volta una mattina d’autunno del 1988 al campo “Vycpalek” di viale Galatea, a Mondello. Quella mattina decisi di marinare la scuola per andare ad ammirare da vicino i miei eroi, i giocatori della squadra che mi faceva battere il cuore forte forte e che mi spingeva a rischiare d’esser visto e punito severamente dai miei genitori che abitavano proprio lì vicino al campo. Era il Palermo di Rumignani, un Palermo di serie C1, un Palermo povero e senza casa visto che lo stadio della Favorita era in rifacimento in vista dei mondiali di calcio del 1990. Si allenava proprio nello sterrato di viale Galatea e giocava le partite casalinghe al Provinciale di Trapani. Biffi era un ragazzone di 22 anni, imponente e potente. Rimasi impressionato da quel nuovo acquisto proprio quando arrivò il momento dei tiri in porta. Biffi caricò una bordata che lasciò immobile il giovane Pino Taglialatela e Mimmo Di Carlo urlò: <<Ragazzi!! Io avrei paura!!>>. Da allora fu un crescendo rosanero. Roberto restò a Palermo ben 11 anni divenendo il giocatore con più presenze in assoluto nella storia del Palermo calcio: 319 con 7 gol al suo attivo. Lo ascolto al telefono e gli confesso che mi sento emozionato perché a lui è legata la mia adolescenza Rosanero, a quel “libero” tutto grinta e cuore, dai modi così decisi in campo da incutere rispetto in ogni attaccante gli si trovasse di fronte: <<In realtà – esordisce - era più la mia fisionomia così imponente che incuteva timore piuttosto che ciò che fossi davvero perché chi mi conosceva anche fuori dal campo sapeva benissimo che ero una persona semplicissima. Ma in campo chi non portava i miei stessi colori diventata un nemico da abbattere, sportivamente parlando, ad ogni costo . Le davo e le prendevo – racconta – ma un po’ più le davo, a dire la verità>> e giù una risata giovanile che sembra riportarlo indietro nel tempo. <<L’esperienza a Palermo è stata fantastica… spettacolare. Arrivai a 22 anni ed andai via a quasi 34: un terzo della mia vita trascorso giù, in una città che mi ha accolto, amato e che ho altrettanto amato in modo totale e senza condizioni nonostante all’inizio ne fossi stato un po’ intimorito perché ciò che arrivava sù di Palermo non era il massimo. Per ignoranza avevo paura a fare questa scelta ma Peccenini mi convinse dicendomi che si trattava solo di voci stupide e prive di fondamento. “Vai lì, fai ciò che devi fare e nessuno ti romperà le scatole” mi disse. Così feci e fu la scelta più importante di tutta la mia carriera>>. Sentir parlare Biffi di Palermo sembra come sentire un bambino all’inizio del nuovo anno scolastico quando racconta le vacanze appena vissute: entusiasmo, magia ma anche un pizzico di malinconia traspaiono dal suo racconto dettagliatissimo. Come già avvenuto con gli altri capitani chiedo a Roberto Biffi di ricordare una gioia ed una delusione vissute a Palermo con particolar trasporto: <<Ogni successo… ogni promozione… la Coppa Italia vinta… tutte gioie indimenticabili ma se devo ricordarne una in particolare ti dico Palermo-Lucchese, finale di Coppa Italia di C giocata il 30 maggio del 1990. Era la riapertura della Favorita: tutto sapeva di nuovo. Campo, spogliatoi, stadio… una sensazione indescrivibile con 40.000 tifosi sugli spalti felici e festanti. C’era aria di festa; la settimana successiva sarebbero iniziati i mondiali delle “notti magiche”. Giocammo e vincemmo sul campo ma alla luce del risultato d’andata andammo ai rigori e perdemmo, rinunciando alla Coppa. Il ricordo più brutto, invece, è legato alla mia ultima partita a Palermo. Spareggio “play-off” Palermo-Savoia del 06 giugno del 1999. Fui il secondo di 3 espulsi. Persi la “brocca” ma la nostra cavalcata si era interrotta molto prima. Avevamo disputato un girone d’andata superbo attestandoci tra primo e secondo posto in lotta con la Juve Stabia ma nel girone di ritorno ci venne “il braccino” ed inanellammo una serie di risultati che ci portarono a scaricarci lentamente fino alle ultime 5 partite al termine delle quali ottenemmo solo 4 pareggi ed una vittoria. Nel frattempo la Fermana, che avevamo battuto sia all’andata che al ritorno, aveva accelerato in modo impressionante recuperando e superandoci alla penultima giornata. Arrivammo a quello spareggio davvero spenti, affaticati, privi di forze fisiche e mentali, mentre il Savoia viaggiava sulle ali dell’entusiasmo visto che era appena stata ripescata come quinta (tant’è che alla fine venne promossa come seconda del girone dietro alla Fermana stessa) >>. L’epilogo di quella partita rappresentò la conferma dell’importanza dell’aspetto psicologico in una squadra e nello sport più in generale. Biffi narra quel momento con grande amarezza. I presenti allo stadio ricordano ancora la delusione ed il senso di impotenza dinnanzi ad una squadra che era ormai stata spremuta come un limone. Si verificarono incidenti allo stadio, lancio di oggetti e Biffi venne contestato all’uscita dal campo per l’espulsione subita. L’ultima a Palermo non fu come avrebbe dovuto essere. La storia d’amore tra Biffi e il Palermo avrebbe meritato un epilogo diverso ma a volte la sorte per un uomo diventa beffarda e la sorte aveva stabilito che doveva andar così. Ma a chi, in particolare, rimase più legato Roberto, relativamente alla sua parentesi in maglia rosa? <<Tra centinaia di compagni, allenatori, gente conosciuta ti dico che le persone che amai particolarmente furono 2: Renzo Barbera e il professore Totino Matracia. A Barbera mi legai frequentando il figlio Ferruccio (che oggi non è più tra noi) che ai tempi era anche un nostro dirigente. Spesso mi recavo anche a casa sua ed ebbi modo di intrattenermi svariate volte col Presidentissimo: una persona d’altri tempi. Un uomo perbene e dai grandissimi valori. Il professore Matracia era, invece, come un secondo papà: gentile nei modi, preparato, a volte così rispettoso da sembrare timido e timoroso. Lo ricordo quando durante il mio riscaldamento, che svolgevo all’interno dell’area che portava agli spogliatoi, si avvicinava e stava lì ad osservarmi. Mi chiedeva come andasse e capiva tutto. Era difficile strapparmi un sorriso in quei momenti pre-partita ma lui era uno dei pochi che ci riusciva. E’ stato un grandissimo esempio per me. Con suo figlio Roberto eravamo come fratelli. Ci frequentammo anche fuori dal campo. Mi sentivo uno di famiglia per loro>>. Barbera e il professore Matracia: due simboli, due figure di un Palermo che fù e che oggi non si avvicina neppure minimamente a quella società sicuramente più limitata economicamente ma molto più ricca di valori e di sentimenti. <<La loro morte, a distanza di 3 anni l’uno dall’altro, rappresentò per me un motivo di dolore molto forte: non li dimenticherò mai!>>. I ricordi di Biffi si spingono oltre e arrivano ai ritiri precampionato e a quelli invernali, sulle Madonie: <<Ci mandavano in ritiro ma quelli non erano ritiri bensì splendidi momenti che condividevamo con le nostre famiglie e grazie ai quali cementavamo il gruppo. Ci divertivamo un sacco: giocavamo a carte, facevamo scherzi, cantavamo, organizzavamo partitelle in palestra con le nostre mogli o con i figli più grandi, per chi li aveva. Ricordo un anno, c’era la neve alta, l’allenatore era Orazi. Stava molto attento al nostro peso e ogni giorno ci pesava ma io non avevo un buon rapporto con la bilancia. Una notte, insieme ad Incarbona, sabotammo la bilancia e l’indomani mattina Orazi non potè pesarci. Che ridere nel vedere il personale dell’albergo che diceva: “Eppure fino a ieri funzionava benissimo!”. Erano finti ritiri in realtà e credo che oggi tutto ciò sia impensabile>> sentenzia Biffi riferendosi alle tensioni estreme cui ormai il circo del calcio sottostà da anni. Oggi Biffi allena una squadra di Eccellenza vicino Sanremo. Ad inizio stagione era trapelata una recente voce che lo voleva tra i papabili per allenare la nostra Primavera ma la cosa non è andata in porto: <<Credo sia stata fatta la scelta più logica: dare l’opportunità a Scurto, che era l’allenatore degli allievi classificatisi al secondo posto dietro l’Inter, di continuare a seguire i suoi ragazzi visto che moltissimi di essi son passati proprio alla Primavera. Certo: se fosse servito avrei fatto un grosso sacrificio economico pur di avere l’onore di allenare la Primavera del Palermo ma la società ha fatto le sue scelte e va bene così>>. La chiosa finale del roccioso capitano è rivolta ai tifosi: <<Spero che la gente di Palermo possa ricordarmi come uno che non si è mai risparmiato. Ho commesso errori, ho fatto qualche colpo di testa ma il mio impegno non è mai mancato ed ho sempre dato tutto per la maglia del Palermo e sono fiero di averla indossata per 11 anni e di esserne stato a lungo anche il capitano. Era un Palermo più “povero” ma ci tengo a ricordarlo: Ferrara e Polizzi hanno sempre fatto il loro dovere ed anche qualcosa in più. Potevano ritardare di un paio di mesi a pagare gli stipendi ma hanno sempre pagato tutto e spesso qualcuno di noi veniva chiamato e premiato con un “surplus”. Il Palermo merita di tornare in A, laddove deve stare e per tornare in A c’è bisogno solo di coesione. Le contestazioni fanno male anche perché i giocatori non sono responsabili di questo stato di cose, soprattutto quelli nuovi che in quei momenti pensano: ”Ma che c’entro io?”. Chiedete un confronto civile e rispettoso con Zamparini che di sicuro non negherà di parlare del futuro, degli obiettivi, delle idee che intende portare avanti per il Palermo.Date tempo e lasciate lavorare tecnico, DS e giocatori: conosco Lupo ed è una persona molto competente. I risultati arriveranno. Capisco la delusione dei tifosi dopo la cocente retrocessione dello scorso anno, la voglia di veder valorizzati i talenti locali anziché le colonie di giocatori stranieri e sono certo che quest’anno ciò avverrà. Ti prego di salutarmi indistintamente tutti i tifosi del gruppo “PALERMO IN ROSA&NERO” >>. Qui termina la conversazione con Roberto Biffi, capitano di 319 battaglie che usciva dal campo con la maglia madida di sudore e sporca di terra e di fango. Sarebbe bello se Mister Tedino, soprattutto dopo qualche partita casalinga, laddove il Palermo ancora stenta parecchio, potesse far vedere ai propri ragazzi qualche filmato un po’ ingiallito di quelle partite per spiegare fattivamente il senso di appartenenza, per ricordare a tutti che giocare nel Palermo, al di là della categoria, può e deve essere per tutti motivo di orgoglio. Proprio come fu per il grande Roberto Biffi.
Ivan Trigona
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