Blog personale... Spazio destinato alle idee, alle chicche, ai pensieri, alle impressioni di un uomo normale che crede che condividere sia sempre meglio che chiudersi in se stessi.
sabato 23 dicembre 2017
PASQUALE BORSELLINO E QUEL RAGAZZO CHE SOGNAVA
Qualcosa mi unisce a Pasquale Borsellino… qualcosa di forte, di così forte che credo nessuno potrà mai spezzare. Pur sapendo quanto gli voglia bene penso che questa cosa non la sappia nemmeno lui. E’ storia vecchia… risale al 1990/91… forse anche a parte della stagione successiva ma, comunque, è storia davvero vecchia… vecchia ormai 26 o 27 anni. Pasquale era stato un gran giocatore di serie B che, però, avrebbe potuto giocare tranquillamente anche in serie A se solo la sorte fosse stata un pizzico più benevola con lui. Fu una bandiera del Palermo, uno di quelli che in campo si faceva sentire, uno che usciva con la maglietta pesante il triplo per il tanto sudore versato. Finito di giocare aveva deciso di provare la carriera da allenatore. Io ero solo un ragazzo, un ragazzo alto alto e magro magro che amava il calcio praticamente dalla nascita e che, fin da bambino, si era messo in testa di diventare calciatore. Lavoravo per quell’obiettivo… faticavo e facevo tanti sacrifici. Il mio sogno, però, non era la gloria, non era la fama, non erano le donne facili, non era l’ambizione di avere ai tuoi piedi tanti tifosi che ti idolatrano. Avevo un solo sogno: poter guadagnare abbastanza da regalare alla mia famiglia ciò che non aveva potuto avere con il solo lavoro di papà: serenità economica… una bella casa di proprietà… qualche capriccio mai passato. Erano altri tempi: non c’era lo scooter… non c’erano abbastanza soldi per il motorino e ci si spostava in autobus o a piedi… non c’erano telefonini, non si facevano capricci… le scarpe per allenarti erano sempre quelle, sempre le stesse… consumate fino alla suola… indurite e anche un po’ spaccate ma sempre quelle fino alla loro “dipartita”. Quelle scarpe erano solo, rigorosamente, nere… non esistevano fascette per i capelli… niente orecchini… nessun tatuaggio. Il campo per allenarti era quasi sempre una gigante grattugia in terra e pietruzze ma ti sentivi già un privilegiato a poterci giocare senza pagare nulla. Le giornate invernali erano fatte di scuola, di allenamenti, di casa, studio e poi di quel meritato riposo notturno che ti permetteva di ricaricare le pile per ricominciare, l’indomani, con lo stesso entusiasmo. La vita pareva ugualmente sempre e solo Rosa perchè il sogno era quello: la maglia Rosanero. Crescevo giocando e giocavo crescendo finchè mi ritrovai a 17 anni, dopo aver vinto un campionato di allievi regionali con una squadra di quartiere, a poter sostenere il classico provino per la squadra dei miei sogni: il Palermo. Arrivai al campo ed all’orario previsto ero già pronto con le mie vecchie scarpe nere consumate, ai piedi. Lui era lì: Pasquale Borsellino si distingueva subito perché pareva ancora un giocatore in attività nonostante avesse smesso da qualche anno. Mi presentai, lui scrisse il mio nome e mi chiese in che ruolo giocassi. Iniziai la mia partita senza acuti particolari ma senza sfigurare. Al termine me ne tornai a casa convinto di avere fallito. Forse passò un mese, forse due… adesso non ricordo benissimo ma ricordo perfettamente quando ritornai a casa dal mio solito pomeriggio estivo di interminabili partite con i miei amici del condominio in cui abitavo. Mia mamma aveva ricevuto una telefonata ed aveva preso nota. “Palermo Calcio, campo del Malvagno, ore 10,00 del mattino”. Non riuscivo a crederci: ero stato convocato!! Non lo nascondo: la notte prima della convocazione non chiusi occhio. Mi presentai in quel campo immerso nel parco della Favorita accompagnato da un caro amico d’infanzia. Pasquale ci preannunciò una partitella: eravamo in tanti… tantissimi. Facemmo un po’ di riscaldamento ed iniziammo. Avevo paura di sbagliare… Giocavo da terzino a sinistra ma non affondavo per paura di perdere l’avversario e far brutta figura ma di lì a breve accadde un fatto che avrebbe potuto cambiare tutto… se solo fossi stato un po’ più fortunato. Si alzò un pallone a campanile, il difensore avversario, molto più robusto di me si preparò a colpire di testa… io partii da più lontano e con enorme grinta saltai spazzando pallone ed avversario pur senza commettere fallo. Pasquale fermò il gioco. Credetti che volesse rimproverarmi per l’eccessiva foga ed invece si avvicinò al difensore che era volato via e che faceva già parte della squadra Berretti cazziandolo “della bella” e portandomi ad esempio. In quel momento misi le ali ai piedi ed iniziai a volare. Mister Borsellino mi diede l’opportunità di allenarmi per un’intera settimana con la formazione Berretti per poter dimostrare quanto valessi… poi avrebbe deciso. Mi allenai bene, ogni giorno, con il mio solito piglio da giocatore professionista pur non avendone le qualità tecniche. Pasquale, però, questo lo aveva capito e mi volle tenere. Fui confermato. Il mio sogno si stava lentamente avverando anche se nulla era ancora stato fatto. Da lì in avanti solo sogni su sogni che si andavano avverando… esperienze magnifiche… materiali d’allenamento mai visti dal vivo… staff medici completi… preparatori… magazzinieri… trasferte in Calabria, in Campania, in Puglia… metodologie d’allenamento per me del tutto nuove. Ogni allenamento una scoperta… ogni partita una conquista. Pasquale credeva nella mia forza di volontà ed io credevo in ciò che lui mi insegnava. A fine campionato ricordo che sarebbe stato lui a decidere se tenermi ancora per la formazione Primavera oppure no. Ricordo che non riuscivo a “legare” neppure 100 grammi di muscoli ed allora lui, pazientemente, dopo ogni allenamento, si fermava con me al campo per sottopormi ad allenamenti supplementari. Addominali, flessioni, piegamenti sulle gambe… Si sedeva sulle mie spalle e mi faceva ripetere le flessioni sulle gambe per potenziarmi… mi “passeggiava” sugli addominali mentre li contraevo… poi divideva il campo di calcio a 5 del Malvagno assegnando una metà campo a me ed una a se stesso. Stabiliva la regola: chi arrivava per primo a 10 avrebbe vinto. Ognuno di noi poteva provare a far gol nella porta opposta tirando dalla propria area di rigore. L’altro che non tirava poteva evitare il gol non utilizzando le mani, quindi con le gambe, con il tronco o con la testa. Un gioco divertentissimo con lui che si trasformava in un ragazzino alle prime armi che voleva vincere a tutti i costi. Mi insegnò a tirare… mi insegnò a stoppare… mi insegnò il drop… Con lui miglioravo a vista d’occhio. Percepivo la sua fiducia e mi sentivo importante ai suoi occhi. La stagione finì e ci salutammo dandoci appuntamento al successivo mese di agosto. Prima della pausa estiva il sogno dell’amichevole contro l’Under 21… le ultime amichevoli della stagione da aggregato alla Primavera di Sergio Eberini, un allenamento con la prima squadra, gomito a gomito, in campo con i miei beniamini, con i giocatori della mia squadra del cuore. Pasquale fu di parola: mi fece confermare anche per la Primavera della stagione 91/92. Ma la storia non è di quelle a lieto fine. Borsellino fu presto promosso come vice di Di Marzio, in prima squadra, ed io mi ritrovai ad essere allenato da un tizio che preferisco non ricordare neppure ma che riuscì a distruggere la mia passione per il calcio. La favola finì lì ma non dimenticai e non dimenticherò mai ciò che lui mi consentì di vivere; non dimenticherò mai il sogno di quel periodo meraviglioso e non dimenticherò mai la lezione che Pasquale Borsellino mi diede per la vita: i propri limiti non sono insormontabili ma con forza di volontà, fiducia e caparbietà si possono oltrepassare. Ho sempre pensato che se fossi rimasto con Pasquale Borsellino forse sarei davvero riuscito a coronare il mio sogno ed a rendere felici i miei genitori prima che me stesso; forse lui sarebbe riuscito a rendermi davvero un calciatore ma la vita è questa e recriminare non serve mai a nulla. E’ andata così ma ogni volta che rivedo lui, Pasquale Borsellino, torno a sentire il profumo dell’erba della Favorita, torno per un attimo ai miei 18 anni e non posso fare a meno di abbracciarlo forte forte!
Ivan Trigona
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